A quasi cinquant’anni dall’uscita, il creatore del leggendario gioco arcade racconta l’origine del titolo (che sta per tornare con un mini-cabinato)
I conquistatori alieni protagonisti di Space Invaders, il classico gioco arcade prodotta da Taito nel 1978, hanno un’estetica tra le più iconiche mai apparse nei videogiochi. In fase di sviluppo, però, gli invasori extraterrestri hanno rischiato di diventare banali esseri umani o semplici carri armati. Per fortuna, il caso ha regalato loro un design che è diventato sinonimo di videogioco.
Oggi gli extraterrestri del gioco adornano magliette e poster. Se aprite la vostra tastiera emoji e cercate “mostro”, oppure “alieno”, vedrete apparire la famigliare silhouette, mentre un iPhone vi suggerirà l’iconcina di questa creatura quando digiterete la parola “videogioco”. È una prova del legame indissolubile tra quei pochi pixel e l’intera industria dei videogiochi, anche per chi non ha mai giocato a Space Invaders.
L’esistenza del titolo si deve ai notevoli risultati ottenuti dal suo creatore, Tomohiro Nishikado. Il suo lavoro ha rivoluzionato ed elevato il settore, ha definito e reso popolari concetti chiave che sono ancora utilizzati a distanza di decenni e ha generato un fenomeno culturale e tecnologico. Tutto è iniziato a causa del videogioco arcade di Atari Breakout: “Ne sono rimasto molto affascinato”, ha raccontato Nishikado a Wired UK. Quando i dirigenti di Taito gli hanno chiesto di creare un’alternativa in grado di competere con il picchiaduro di Atari, Nishikado stava già pensando a come realizzarlo: “Decisi di progettare uno shooter, che era il mio forte. Ma fino a quel momento questi gjochi erano principalmente basati sul tempo: i giocatori sconfiggevano il maggior numero possibile di bersagli entro un determinato periodo. Decisi quindi di creare un gioco con un sistema di vite e un gameplay interattivo in cui più nemici attaccavano il giocatore”.
Il progetto iniziale prevedeva che si sparasse a dei carri armati, ma Nishikado ricorda che la loro forma e il loro movimento “non sembravano plausibili”. Il team di sviluppatori provò allora con aerei militari e navi da guerra, che però a loro volta non funzionarono, a causa dei limiti della tecnologia dell’epoca. “Poi ho provato con un soldato e sono rimasto soddisfatto del movimento. C’era però un problema: diffondere un gioco dove si sparava alle persone non era considerata una buona idea e quindi ho rinunciato”, racconta Nishikado.
#Alieni-calamari
La soluzione arrivò grazie a La guerra dei mondi. Nishikado ricordava il film del 1953 e si ispirò alle varie rappresentazioni cinematografiche degli invasori, che spesso assomigliavano a forme di vita marina. “Ho basato un nuovo bersaglio su un polipo e, visto che era una creatura aliena, non c’erano problemi a sparargli”, dice. E dato che la forma non doveva essere necessariamente riconoscibile, ogni problema di realismo veniva meno. Da lì in avanti, Nishikado si cimentò nella creazione di altri nemici ispirati a creature marine come granchi e calamari.
Mentre tutto questo accadeva, lo sviluppatore stava rivoluzionando il modo in cui i videogiochi venivano creati in Giappone: “A differenza dei giochi convenzionali dell’epoca, Space Invaders era un gioco controllato da software che utilizzava un microcomputer”, racconta. Titoli di questo tipo esistevano già negli Stati Uniti, in Giappone però erano poco conosciuti e non esisteva l’hardware per svilupparli. Così Nishikado decise di costruirsi il suo. “Ho studiato i giochi americani per imparare a creare giochi con i microcomputer. Mi ci è voluto circa mezzo anno per imparare – ricorda Nishikado –. E siccome non avevo attrezzature soddisfacenti per lo sviluppo di giochi, mi sono costruito le mie facendo riferimento alle schede di gioco americane. Parallelamente, lavoravo alla pianificazione del gioco, ai personaggi e alla programmazione, quasi tutto da solo. A poco a poco, ho migliorato le funzioni del mio hardware e quando Space Invaders è stato completato, ero soddisfatto”.
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